OPERE GIOVANILI
Pino Pascali, Treno
Fin dagli anni dell’Accademia di Belle Arti, a Roma, sotto la guida di Toti Scialoya, Pascali studia Pollock, Gorky, De Kooning i padri dell’espressionismo astratto americano. L’energia vitale, il ritmo caotico e privo di forma ragionata attraggono il giovane studente, specie il dripping di Pollock segna una linea di confine netto con la figurazione, che però Pascali non abbandonerà mai. Affascinato dall’uso di materiali inconsueti come il bitume, le latte, il cuoio, il metallo, sperimenta le mescolanze del petrolio e polveri varie, dipingendo su lastre di lamiera di zinco, legno, metallo. Di questo periodo, tra il 1956 e il 1960 sono: Pannello con fucili e pistole; Pannello con fucili; Pistole, e alcuni quadri su legno che hanno per soggetto Le navi, grande appassionato di modellismo, e ottimo disegnatore e sperimentatore di nuovi materiali, il ciclo delle Navi ebbe successo e una discreta richiesta commerciale.
Ancora tra il ‘64 e il ’65 Pascali realizza con la stessa tecnica materica (lamiere, catrame, polveri, metalli punzonati) il Treno (coll. Priv. Triggiano, Bari), Guerrieri (coll. Privata, Bologna), Nave (coll. privata Bari) ed ancora altre opere che hanno come con soggetto le navi.
PUBBLICITÀ
Pino Pascali, Maschera Totem
Pascali inizia una collaborazione con la ‘Lodolo film’ sin dal 1958, un anno prima del suo diploma all’Accademia di Belle Arti di Roma, un sodalizio che durò sino al 1967. Sandro Lodolo titolare della casa di produzione pubblicitaria e Pino Pascali nel ruolo di creativo, realizzarono innumerevoli spot e cartoons pubblicitari. Rimangono a testimoniarlo i moltissimi disegni, schizzi, bozzetti per Carosello e sigle televisive.
Negli stessi anni lavora come aiuto-scenografo in Rai per trasmissioni di gran successo quali ‘Biblioteca di Studio 1′ (1964). Sono sue le scenografie per brevi fiction musicali come: Primula Rossa, La storia di Rossella O’Hara, I tre Moschettieri, Al Grand Hotel, Il Fornaretto di Venezia; disegna anche i costumi per alcune coreografie delle Gemelle Kessler.
Per i programmi più in auge negli anni ’60 realizza le sigle: “Prima Pagina”; campagna di abbonamenti Rai Radiotelefortuna con i disegni della serie AFRICA e GIAPPONE, la sigla per “Incontri”, la sigla di “TV7”, la sigla di “Prossimamente”; la sigla “Tic Tac”; la sigla per le Ferrovie dello Stato con i disegni “Storia del treno”.
Per la pubblicità ricordiamo dal 1958 al 1966 gli spot a colori per Autonoleggi Maggiora; Algida gelati (in tutto 12 spot), Confezione Monti, prodotti Arrigoni, cera Sutter, ditta Alberti, Getto insetticida/Squibb, Atlante Geografico Curcio, Argo Stufa, carta Sana, Koo-Koock, Caffè Camerino, Confetture Arlecchino, Biscotti Maggiora, conserve di pomodori Cirio.
Marco Giusti regista della Rai raccoglie tutto questo materiale nel raro e prezioso nel film-tv prodotto da RAI TRE “ Pino Pascali o le trasformazioni del serpente”. Per questo film nel 2003 abbiamo assegnato al regista il ‘Premio Pino Pascali”.
FRAMMENTI ANATOMICI
Pino Pascali, Maternità
Tra il 1964 e il 1965 Pascali realizza opere che hanno come soggetto il corpo femminile, tra cui: “Omaggio a Billy Holiday” (GAM Torino), “La Gravida/ Maternità” 1964 (MACRO Roma), ”Labbra rosse” 1964 (Museo di Belle Arti Nantes), “Primo piano labbra” 1965 (GNAM Roma), “Torso di negra” 1964/65 (GNAM ROMA).
Nel 1964 alla Biennale di Venezia sbarca la Pop Art americana, Pascali ne assorbe il clima, come del resto altri artisti (Franco Angeli, Schifano, Festa) e con la sua genialità rielabora temi e soggetti in modo personalissimo e in versione italiana. Sono pitto-sculture da muro, alcune tridimensionali, sono frammenti di corpi ingigantiti, quasi il suo occhio fosse uno zoom fotografico per rimarcare la finzione dell’arte, i riferimenti ad Oldemburg sono evidenti, ma rispetto agli artisti pop che offrono un ‘congelamento’ della realtà, Pascali vi aggiunge la sensualità, l’eros di chiara matrice mediterranea.
Negli stessi anni esce il film di Federico Fellini “Boccaccio ’70” (1962), penso all’episodio “Bevete più latte” con Anita Ekberg e Peppino De Filippo, nel 1964 Mary Quant, stilista inglese, esplode con la ‘minigonna’, agli inizi degli anni ’60 Pino Pascali ascolta la musica di Billy Holiday, tragica e sfortunata vocalist afro-americana. In questo clima vanno inseriti i ‘frammenti di donna’ , su tele centinate, quasi dei monocromi, il bianco su bianco della “Gravida”, il nero su nero di “Torso di negra”, il rosso infuocato delle “Labbra”, opere di forte impatto emotivo, che pur risentendo della Pop Art, pescano anche nell’immaginario del Surrealismo, pensiamo a Salvator Dalì al suo famoso divano a forma di labbra di Mae West.
LE ARMI
Pino Pascali, Bella Ciao, 1965 – Photo Courtesy Claudio Abate
Nel 1965 l’artista elabora un ciclo di opere dedicate alle armi, da sempre passione di Pascali. Le sculture saranno delle armi – giocattolo di grandi dimensioni e realizzate assemblando residuati meccanici, tubi idraulici, vecchi carburatori Fiat, rottami, manopole.
L’artista con l’abilità di un bricoleur ricostruisce cannoni, bombe, mitragliatrici quasi in scala reale ma falsamente minacciosi poiché inutilizzabili. E’ il suo modo di ironizzare sulla guerra, di giocare ai soldatini (ci sono molte foto in cui l’artista in perfetta tenuta militare posa vicino a queste grandi armi – giocattolo); le armi sono portatrici di morte, Pascali invece le ricrea con pezzi di scarto, ma la verosimiglianza è ingannevole, anche il colore (grigio – verde) con cui le dipinge sembra reale.
Grandi sculture a forma di giocattoloni, non più oggetti inquietanti che la coscienza civile rifiuta o delega ai ‘signori della guerra’ ma l’operazione artistica di Pino Pascali consiste nel trasportare nel mondo dell’arte l’infanzia e il gioco. Gli sono sempre piaciute le armi, le divise (suo padre era funzionario di polizia) le ha viste e le conosce.
Ora che è cresciuto, decide di farle diventare ‘oggetti d’arte’, sono le sculture dell’artista adulto. La libertà di un artista consiste anche nello svincolare la forma dal contenuto: le armi non sono solo sinonimo di morte e distruzione ma qui nell’intenzione dell’artista vanno associate al gioco, all’ironia, allo sberleffo.
Pascali mette così in crisi anche il linguaggio della scultura e vi introduce un nuovo concetto: l’ambiguità. Gli amici artisti (da Ceroli a Pistoletto) o gli altri del gruppo torinese dell’arte povera non osano tanto, pur nella mutazione dei soggetti rappresentati il materiale era chiaro, il ferro era ferro, il legno era evidente e certo, semmai esaltato. Nelle ‘armi’ no. La costruzione è falsata in tutto, nelle dimensioni (il cannone è grande ma non a grandezza naturale), la struttura sembra vera, ma vi sono anche cartoni, metalli, pezzi di scarto e rifiuti.
Il tutto viene reinventato e riproposto come reale. E l’artista stesso sottolinea il gioco e l’ambiguità dell’operazione facendosi ritrarre travestito da soldatino con piglio imbronciato e serioso ma con evidente e sottile ironia, a voler sottolineare che è tutto finto, che tutto è gioco, anche nell’ARTE.
GLI ANIMALI
Pino Pascali, Vedova Blu, 1965 – Photo Courtesy Claudio Abate
In questo ciclo di opere Pascali non cerca più la ‘verosimiglianza’ con il reale come era accaduto per le ‘armi’ ma già nell’uso del materiale, tela e struttura in legno, materiale industriale (gli scovoli di acrilico) dei bachi da setola o peluche sintetico per la vedova blu è chiara l’intenzione dell’artista: ricostruire una nuova Arca di Noè ingigantita dall’occhio di un bambino, grandi animali leggeri come nuvole oppure realizzati come giochi di peluche ma sempre sovradimensionati.
Egli stesso le chiamava le finte sculture: sono trofei di caccia, colli di giraffa, code di delfini e balene, rettili. La tela viene tagliata e usata con una tecnica precisa come un tappezziere può preparare la struttura di un divano (Pascali ha comunque realizzato il salotto dei suoi genitori), i tagli sono netti e precisi, la grandezza smisurata di queste ‘finte sculture’ finisce per fare da contraltare alla propria leggerezza poiché l’interno è vuoto. Così Pascali introduce un elemento linguistico nuovo: priva la scultura di una sua precisa connotazione, il peso. I bianchi animali ricordano le sculture e i bassorilievi del romanico pugliese che l’artista ben conosceva e che il suo fervido mondo immaginario aveva rielaborato inconsciamente.
Infatti, pur senza mai citare la Puglia o Polignano o le memorie d’infanzia e adolescenza pugliese, la poetica, il linguaggio, le forme, i temi nascono da un substrato mediterraneo e meridionale che si incontreranno a Roma con le esperienze artistiche internazionali (Pop Art, minimalismo americano, Arte Povera, performances).
Il ciclo delle ‘finte sculture’ si divide essenzialmente in due gruppi: il primo comprende gli animali preistorici (dinosauri, balene, delfini, pescecane, rettili) mentre l’altro si ispira alla natura pura e incontaminata: bianche scogliere, il mare, le cascate, i bambù.
In queste opere è più forte la componente scenografica ma anche elementi di surrealtà visibili nella capacità di mescolare abilmente e con l’ironia che sempre accompagna il lavoro di Pascali, il gigantismo dei giocattoloni, il monumentalismo del bianco romanico pugliese, i fumetti di B.C. che l’artista amava leggere.
LA RI-COSTRUZIONE DELLA NATURA
Pino Pascali, 32 mq – ph. Cosmo Laera
Pascali tende sempre più ad invadere lo spazio, ad occuparlo con opere che assumono le dimensioni di vere e proprie installazioni. I materiali usati sono elementi primari come l’acqua, la terra: qui si accentua la sua cultura mediterranea, la Natura è vista come la Madre Profonda e Benigna dispensatrice di vita e di erotismo.
I caratteri della civiltà contadina affiorano visibilmente nei “Campi arati”, nei “Canali d’irrigazione”, in “1 mc di terra”. L’idea di trasformare in oggetti scultorei ben definiti gli elementi naturali, come i “32 mq di mare” in vaschette di zinco, è un tentativo riuscitissimo di conciliare il naturale con l’artificiale. L’acqua è l’elemento primario che affascina Pascali da sempre e ricostruisce il suo mare in vaschette di zinco ognuna delle quali contiene una variazione di tono su tono del colore del mare.
Nelle “Botole” o nelle “Pozzanghere” ritorna l’elemento primario dell’acqua ma vi è anche la simulazione di materiali freddi come l’asfalto e l’uso dell’eternit che rappresenta una novità in più rispetto alla Minima Art e all’Arte Povera dove i materiali vengono esibiti come tali e nella loro ossessiva neutralità e freddezza. i coperchi delle “Botole” si possono spostare, aprire e chiudere come veri ‘chiusini’ e l’acqua delle pozzanghere tende ad evaporare in misura diversificata e a seconda delle condizioni climatiche.
Pascali coglie i segnali della crisi delle culture metropolitane (“Il pensiero selvaggio” di Levi – Strauss è del ’64), molti sono gli artisti interessati all’antropologia sociale, basta l’esempio degli spettacoli del Living Teatre che Pascali frequenta a Roma. Così, intorno agli anni tra il ’65 ed il ’68 nasce un forte atteggiamento culturale circa il mito delle civiltà pre-industriali che trova la sua applicazione visiva nella Land Art americana e nell’Arte Povera italiana. Nel ’67 nasce proprio a Torino, la città industriale per eccellenza, il movimento dell’Arte Povera teorizzato dal giovane critico Germano Celant che invita anche lo stesso Pascali a farne parte.
Ma i ‘movimenti’ vanno stretti al nostro artista, ancor oggi difficilmente collocabile in questa o in altra corrente artistica; il ciclo di opere con elementi naturali quali l’acqua, la terra, la paglia nasce da una parte come presa di coscienza razionale contro l’urbanizzazione e il tecnologismo avanzante, l’altra – meno razionale e più inconscia – si configura come la rielaborazione poetica della memoria e delle energie vitali insite nei miti mediterranei.